Lascio la luce bellissima del sole
e le stelle splendenti e il sembiante della luna,
e i cocomeri maturi e le mele e le pere.
Praxilla
Autore: rivye
LETTERA Al RETTORI DELLE UNIVERSITA EUROPEE – Antonin Artaud
LETTERA Al RETTORI DELLE UNIVERSITA EUROPEE
I bambini sanno qualcosa fino al giorno in cui li si manda a scuola.
A partire dal giorno in cui sono affidati alle mani di un professore,dimenticano.
Le scuole sono un fascismo della coscienza, questa vecchia dittatura fossilizzata sulla puttana dell’innato pedagogo.
Il bambino di sei anni che per la prima volta entra in una scuola avrebbe molto da insegnare al suo presunto maestro, se solo questi avesse la saggezza e l’onestà di credere che c’è qualcosa [da] imparare dalla coscienza di un nuovo nato.
Ma qual è il maestro che avrà lo spirito di riporre la chiave sulla porta mettendosi lui stesso a scuola delle future natalità?
La disgrazia, signori rettori delle Università Europee, è che non ci sarà più alcuna nascita, perché a forza di tirare la corda …
E non è alla scuola delle nascite che vorrei mettervi, io, magnifici rettori, poiché per la scienza imbecille che rappresentate non è più tempo di nascere, è tempo di morire.
Artaud
È ridicolo – Rainer Maria Rilke
È ridicolo. Sto qui nella mia piccola camera, io, Brigge, che sono arrivato a ventotto anni e che nessuno conosce. Sto qui e sono nulla. E tuttavia questo nulla comincia a pensare e pensa, cinque piani in alto, in un grigio pomeriggio parigino questi pensieri:
È possibile, pensa, che nulla di reale e d’importante sia ancora stato visto, conosciuto e detto? È possibile che si siano avuti millenni di tempo per guardare, riflettere e annotare, e che si siano lasciati passare i millenni come un intervallo di ricreazione in cui si mangia il pane e burro e una mela? Continue reading “È ridicolo – Rainer Maria Rilke”
De l’amore – Giordano Bruno
Amor, per cui tant’alto il ver discerno,
Ch’apre le porte di diamante e nere
Per gli occhi entra il mio nume; e per vedere
Nasce, vive, si nutre, ha regno eterno.
Fa scorger quant’ha il ciel terr’ed inferno,
Fa presente d’absenti effigie vere,
Repiglia forze, e, trando dritto, fere,
E impiaga sempre il cor, scuopre ogn’interno.
O dunque, volgo vile, al vero attendi,
Porgi l’orecchio al mio dir non fallace,
Apri, apri, se puoi, gli occhi, insano e bieco.
Fanciullo il credi, perché poco intendi;
Perché ratto ti cangi, ei par fugace;
Per esser orbo tu, lo chiami cieco.
Causa, principio ed uno sempiterno,
Onde l’esser, la vita, il moto pende,
E a lungo, a largo e profondo si stende
Quanto si dic’in ciel, terr’ed inferno;
Con senso, con raggion, con mente scerno
Ch’atto, misura e conto non comprende
Quel vigor, mole e numero, che tende
Oltr’ogn’inferior, mezzo e superno.
Cieco error, tempo avaro, ria fortuna,
Sord’invidia, vil rabbia, iniquo zelo,
Crudo cor, empio ingegno, strano ardire
Non bastaranno a farmi l’aria bruna,
Non mi porrann’avanti gli occhi il velo,
Non faran mai che il mio bel sol non mire
Giordano Bruno
Credo che dovrei cominciare a lavorare un poco – Rainer Maria Rilke
Credo che dovrei cominciare a lavorare un poco, ora che imparo a vedere. Ho ventotto anni, ed è come se nulla fosse stato. Ricapitoliamo: ho scritto uno studio sul Carpaccio, brutto, un dramma che si intitola «Matrimonio» e vuole dimostrare con mezzi ambigui una tesi falsa, e dei versi. Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Continue reading “Credo che dovrei cominciare a lavorare un poco – Rainer Maria Rilke”
E così, qui dunque viene la gente per vivere – Rainer Maria Rilke
E così, qui dunque viene la gente per vivere; crederei piuttosto che si muoia, qui. Sono uscito. Ho visto: ospedali. Ho visto un uomo che barcollava e cadeva. La gente gli si è raccolta intorno, mi è stato risparmiato il resto. Ho visto una donna gravida. Si spostava faticosamente lungo un muro alto e caldo, e lo tastava ogni tanto, come per accertarsi che ci fosse ancora. Sì, c’era ancora. Dietro? Cercai sulla carta: Maison d’accouchement. Bene. La sgraveranno – lo si può fare. Più avanti, rue Saint-Jacques, un grande edificio a cupola. La carta dice: Val-de-grâce, Hôpital militaire. Non avevo davvero bisogno di saperlo, ma non importa. La strada da tutte le parti cominciava a puzzare. Puzzava, per quanto potevo distinguere, di iodoformio, di unto di pommes frites, di angoscia. D’estate tutte le città puzzano. Poi ho visto una casa stranamente cieca, sulla carta non c’era, ma sopra la porta si riusciva ancora a leggere: Asyle de nuit. Di fianco all’ingresso, i prezzi. Li ho letti. Non era caro.
E poi? Continue reading “E così, qui dunque viene la gente per vivere – Rainer Maria Rilke”
Fallimento – Raymond Carver
Ventott’anni, una pancia pelosa che mi sporge
dalla canottiera (esentasse)
sdraiato su un fianco
sul divano (esentasse)
ascolto il suono bizzarro
della voce piacevole di mia moglie (esentasse anche lei)
Siamo nuovi
a questi piccoli piaceri.
Perdonatemi (supplico la corte)
siamo stati imprevidenti.
Oggi il mio cuore, come la porta d’ingresso,
resta aperto per la prima volta dopo mesi.
Raymond Carver
Non sopporto l’anatomia umana – Antonin Artaud
Non sopporto l’anatomia umana e soprattutto non sopporto le scissioni dell’anatomia.
Costretto nella camicia di forza, sbattuto in cella, fermato con tutti i mezzi, avvelenato, paralizzato con l’elettricità, non dirò di aver conservato un vecchio fondo di pietà umana, ma dirò di averla vista sovraeccitata, la mia sensibilità umana, in un modo tale che non posso più veder passare un mutilato senza sentire dentro di me non so quale antica criniera elettrica drizzarsi dalla testa ai piedi. Continue reading “Non sopporto l’anatomia umana – Antonin Artaud”
Le Danaidi – Melanippide
Le Danaidi
Non avevano sguardo né forma d’uomini,
né corpo simile a donne:
su carri da corsa nude s’addestravano
lungo le selve; e spesso nelle cacce
allietavano le mente
o cercando la resina negli alberi d’incenso
e gli odorosi datteri o la cassia – e i teneri
semi di Siria.
Melanippide
Svegliandomi dall’ubriachezza in un giorno di primavera – Li Po
“La vita nel mondo non è che un lungo sognare:
Col lavoro e le cure non la voglio sciupare”.
Così dicendo restai tutto il giorno ubriaco
Allungato nel portico innanzi alla porta di casa.
Sveglio, sgranai gli occhi abbagliati sul prato:
Un uccello cantava, solo, in mezzo ai fiori.
Mi chiesi se il giorno era stato bello o piovoso:
Lo zeffiro ne parlava all’uccello mango.
Da quel canto commosso trassi un lungo sospiro
E poiché il vino c’era riempii la mia coppa.
Come un pazzo cantando attesi l’alba lunare;
A canzone finita i miei sensi se n’erano andati.
Li Po