Meet the media guru, la pluriennale rassegna di incontri sulla cultura digitale e l’innovazione nella città di Milano, si conferma essere la riserva del tecno-entusiasmo più piatto e acritico. Si definiscono critici e ottimisti, perché “evidentemente non si può tornare indietro”, non si può rallentare e, soprattutto, “non è più il tempo del luddismo”. Il loro unico obiettivo sembra quello di consolare e rassicurare gli animi di coloro che, nella capitale del terziario avanzato, non possono fare a meno di partecipare attivamente alla spettacolarizzazione della cultura, pensando che ciò equivalga alla sua divulgazione e al suo accrescimento.
Business e futuro
Per questa ultima fatica MTMG ha trovato un ottimo partner in Accenture, la grande multinazionale di consulenza aziendale che, proprio nell’Infomation technology e nelle sue applicazioni in ambito economico e commerciale, vede una grandissima risorsa da sviluppare e su cui investire.
Ecco allora l’incontro – che ha avuto luogo mercoledì 27 al Museo della scienza e della tecnica di Milano – con il “guru” di turno, Paul Daugherty – chief technology e innovation officer di Accenture – co-autore del libro Human + Machine. Reimagining work in the age of AI, insieme a James Wilson. Di recente pubblicazione per la Harvard Business Review Press, il volume si presenta come una guida rivolta al mondo del business, per saper cogliere nel modo migliore (ossia più redditizio) ciò che l’AI ha da offrire. Perché è qualcosa che è già qui, ora, e va colta al volo, affinché tutti siano pronti a immettersi nella forza lavoro, quella dell'”intelligenza collaborativa” tra uomo e macchina.
Cosa possa voler dire collaborare con l’intelligenza artificiale ovviamente non ci è dato sapere, visto che non è argomento di discussione. Anzi, è proprio l’elemento che non viene indagato, collaborare si deve. Ogni altra possibilità non è data.
Neutralità della tecnica e darwinismo sociale
Paul Daugherty nella sua esposizione argomenta citando una serie di luoghi comuni. Si dipinge come una persona a cui piace sperimentare con la tecnologia e scoprire come fare business con l’innovazione. Un ottimista consapevole, “la tecnica è neutra, siamo noi che decidiamo”. Da che possiamo arguire che non esistano cattive tecnologie o tecnologie dannose, ma solo problemi che si possono risolvere con altra innovazione.
Su questo punto è molto chiaro: “L’AI sarà la più grande innovazione del prossimo futuro e forse della storia umana. I calcolatori sono sempre più potenti e gli algoritmi sempre più sofisticati”. “Gli errori sono sempre imputabili agli esseri umani o alle aziende”. L’innovazione tecnologica è impiegata in moltissime attività, dalla robotica alla medicina, dal business agli orti urbani.
L’autore, a capo delle iniziative sulla AI di Accenture, prosegue sullo stesso tono: “L’innovazione va sempre più veloce! I cambiamenti stanno avvenendo con grande rapidità, per questo è fondamentale educare nuovi leader. Ho scritto questo libro perché voglio aiutare i manager a capire cos’è l’AI e come funziona. Non bisogna averne paura, bisogna farla avanzare. Chi ha paura dell’innovazione rallenta tutti gli altri, ci fa perdere tempo”.
Ci sono miti da sfatare, necessità da soddisfare e sfide da cogliere.
I miti sono quelli sui robot che ci sostituiranno e sulle macchine non ci porteranno via il lavoro. Tutto falso per Daugherty.
Quello che si deve fare invece è reimmaginare il business, un nuovo approccio al lavoro. Anzi, creare nuovi posti di lavoro, agendo sulla formazione delle persone e su nuove competenze. L’idea è quella di un apprendimento continuo senza soluzione di continuità, perché “noi non riusciremo a stare a dietro a tutti questi cambiamenti. Resteranno a galla solo quelli che sapranno adattarsi meglio e più velocemente a tutto ciò”. “L’automazione cancellerà quei lavori meno skillati ma ne creerà altri per gestire l’automazione stessa”. “Forse non tutti trarranno, o sapranno trarre, lo stesso vantaggio dalla AI, ma proprio per questo abbiamo molto lavoro da fare”. Forse per stemperare tutto questo “ottimismo consapevole” in un paio di occasioni si lascia sfuggire che “anche il fatto di dare empowerment alle persone – inclusione e solidarietà – è fondamentale”. Senza spiegare o argomentare. In sostanza un discorso improntato al darwinismo sociale, condito da un’etica ambigua.
Il futuro che ci aspetta
Evidentemente questa è l’idea di futuro che hanno quelli di Meet the Media Guru. Ma non sono i soli, anzi, a Milano sono in ottima compagnia. Recente è la notizia che MTMG – grazie all’onnipresente Fondazione Cariplo – presto darà vita a MEET, il primo Centro internazionale per la Cultura Digitale in Italia, nei locali dello Spazio Oberdan. Obiettivo: colmare il digital divide agendo su incontro e inclusione. Chissà seguendo quale visione.
Il tema dell’interazione tra essere umano e tecnologia digitale è più attuale che mai e certamente di estrema importanza. Tra i differenti approcci possibili, la città di Milano sembra però prendere in considerazione esclusivamente un numero ristretto di sfumature di grigio. Martedì 26 si è svolto infatti un altro incontro su temi simili. Questa volta alla Fondazione Feltrinelli, dove era presente Geoff Mulgan, Chief Executive di Nesta. Nesta è una grande organizzazione per la promozione dell’innovazione sociale e tecnologica con base nel Regno Unito (nel 2017 a Torino ha aperto la sua prima sede fuori dal suolo britannico, grazie alla collaborazione con Compagnia San Paolo).
Mulgan ha presentato il suo ultimo libro, uscito in Italia per Codice Edizione, dal titolo Big Mind – L’intelligenza collettiva che può cambiare il mondo. Era dai testi degli anni 90 di Pierre Levy che non si sentiva più qualcuno usare in modo entusiasta l’espressione “intelligenza collettiva”. Per Geoff Mulgan dentro c’è di tutto: l’AI, il machine learning, Amazon, Google maps, piattaforme attive in ambito medico, linguistico, urbanistico, finanziario, democratico e tanto altro. Forse troppo. Per tenere insieme tutte queste diverse esperienze c’è bisogno di molta superficialità.
Sappiamo bene che è di fondamentale importanza comprendere al meglio le differenti articolazioni di rapporto tra essere umano e tecnologia digitale, ma forse queste narrazioni così rassicuranti e acritiche (e liberiste) non sono molto utili. Perché, invece di favorire il lavoro analitico sulle diverse forme che può prendere il digitale, si preferisce appiattire il discorso e semplificarlo eccessivamente, a tutto vantaggio di chi queste narrazioni le porta in giro e le diffonde. Peccato per tutti gli altri.