È il loro mestiere attaccare, rispondere, rispondere alle risposte. Per quanto mi riguarda, io posso farlo una sola volta. È dopo questa non risponderò più.
Il marketing ha i suoi particolari principi:
1. Bisogna che si parli di un libro (e che se ne faccia parlare) più di quanto il libro parli o abbia da dire di per sé. Al limite, è necessario che la moltitudine di articoli di giornale, interviste, colloqui, trasmissioni radiotelevisive rimpiazzi completamente il libro, che a quel punto potrebbe benissimo non esistere affatto. Per questo il lavoro cui si dedicano i nuovi filosofi è, più che a livello di libri scritti, a livello di articoli da ottenere, di giornali o trasmissioni da occupare, di interviste da piazzare, di dossier da fare, di numeri di “Playboy”. Tutta un’attività che, visti i livelli di organizzazione, sembra escludere la filosofia, o dalla filosofia essere esclusa.
2. Dal punto di vista del marketing è assolutamente necessario che lo stesso libro o lo stesso prodotto possano tollerare diverse versioni, in modo da convenire a tutti: una versione pia, atea, una heideggeriana, una “gauchiste”, una centrista, una buona per “un’unione di sinistra” alquanto sfumata, e persino una per Chirac o i neo-fascisti.
Di qui l’importanza di una distribuzione dei ruoli basata sui gusti.
Recentemente André Scala ha analizzato un’incipiente inversione nel rapporto giornalista-scrittore, stampa-libro. Il giornalismo, in collegamento con radio e televisione, si è reso conto in modo sempre più lucido della sua possibilità di creare l’avvenimento (le fughe controllate, Watergate, i sondaggi…). Avendo meno bisogno di riferirsi ad avvenimenti esterni, vista la sua capacità di crearne una larga parte, aveva correlativamente meno bisogno di confrontarsi con analisi esterne o con personaggi tipo “l’intellettuale”, “lo scrittore” ecc.: “il giornalismo scopriva in se stesso una forma di pensiero autonoma e autosufficiente”. È per questo che, al limite, un libro vale meno dell’articolo di giornale che su di esso si scrive, o dell’intervista cui dà luogo. Gli intellettuali, gli scrittori, persino gli artisti, sono perciò costretti a divenire giornalisti se vogliono uniformarsi alle norme. È un nuovo tipo di pensiero: il pensiero-intervista, il pensiero-colloquio, il pensiero-minuta. Si immagina un libro che possa fondarsi su un articolo di giornale, non il contrario
Il giornale non ha più bisogno del libro. Non voglio dire che questo rivolgimento, questo addomesticamento dell’intellettuale, questa
“giornalizzazione”, siano una catastrofe. Era inevitabile: nel momento stesso in cui la scrittura e il pensiero tendevano ad abbandonare la funzione-autore, in cui le “creazioni” non passavano più per la funzione-autore, questa trovava nuova vita grazie alla radio, alla televisione e al giornalismo.
I giornalisti diventavano i nuovi autori, e gli scrittori che volevano ancora essere autori dovevano passare attraverso i giornalisti, o divenire giornalisti di se stessi. Una funzione caduta in forte discredito ritrovava la sua modernità e fondava un nuovo conformismo semplicemente cambiando
luogo e oggetto. Tutto questo ha reso possibili le iniziative di marketing intellettuale.
Assolutamente no. Non c’è alcun bisogno di una simile scelta: o il marketing o la vecchia maniera. È una falsa alternativa: tutto quanto è attualmente vivo sfugge a una opposizione siffatta. Gli “incontri” sono la prima mossa. Non certo nel senso di colloqui o dibattiti, ma in quello per cui, se si lavora in una disciplina, ci si incontra con gente che lavora in un’altra disciplina, come se la soluzione venisse sempre da fuori. Non si tratta di comparazioni o di analogie intellettuali, bensì di intersezioni effettive, di incroci di linee.
Far “incontrare” il proprio lavoro con quello dei musicisti, dei pittori o degli scienziati, è il solo atteggiamento che non si ricollega né alle vecchie scuole né al nuovo marketing. Si tratta di “punti singolari” che costituiscono dei veri e propri focolai di creazione, funzioni creatrici indipendenti dalla funzione-autore. E ciò non vale soltanto per le intersezioni di discipline differenti: ogni disciplina, ogni elemento di essa, per quanto piccolo sia, è già di per sé fatta di tali incroci.
Ebbene, ogni volta che le funzioni creatrici abbandonano in tal modo la funzione-autore, si vede quest’ultima rifugiarsi in un nuovo conformismo da “promotion”. È tutta una serie di battaglie, più o meno visibili: il cinema, la radio, la televisione rappresentano la possibilità di esistenza di funzioni creatrici che hanno destituito l’Autore; ma la funzione-autore si ricostituisce al riparo degli usi conformisti di tali “media”.
Quando la letteratura, la musica o altro conquistano nuovi orizzonti di creazione, la funzione-autore si ricostituisce nel giornalismo, che sta ormai per soffocare definitivamente le funzioni creatrici proprie e quelle della letteratura.
Anche se tutti loro svanissero domani, la loro iniziativa di marketing sarà ripresa.
Quanti più saranno i dibattiti cretini in televisione, quanti più i narcisistici filmetti d’autore, tanto meno sarà possibile la creazione, in televisione e altrove.
Estratti da un’intervista a Gilles Deleuze pubblicata nel 2007 sul n. 32 di Millepiani, “Dis-senso. Per un’ecologia materialista”, Eterotopia
“Il problema non è più quello di fare in modo che la gente si esprima, ma di procurare loro degli interstizi di solitudine e di silenzio a partire dai quali avranno finalmente qualcosa da dire. Le forze della repressione non impediscono alla gente di esprimersi, al contrario la costringono a esprimersi. Dolcezza di non aver nulla da dire: è questa la condizione perché si formi qualcosa di raro o di rarefatto che meriti, per poco che sia, di essere detto”.